Casa e macchina coi soldi di papà.La donazione dev’essere dimostrata

Casa e macchina coi soldi di papà.La donazione dev’essere dimostrata
È pratica comune che i genitori spesso concorrono di fatto alle spese di gestione della vita familiare dei figli, ma all’ufficio fiscale bisogna esibire idonea prova documentale
Se il contribuente deduce che la spesa effettuata per l’acquisto di un immobile è frutto di una liberalità da parte dei propri genitori, la presunzione per la determinazione sintetica del reddito può essere superata solo con la produzione di documentazione idonea a dimostrare anche l’entità e la permanenza nel tempo del possesso del relativo reddito.
Il giudice di merito deve sempre rifarsi a tali prove documentali, non potendosi limitare ad argomentare che le donazioni a favore dei figli non necessitano di una prova documentale perché è altamente probabile che un genitore intervenga con donazioni di fatto per la partecipazione alle spese di gestione della vita familiare dei figli.
Questo, in sintesi, il contenuto della sentenza della Corte di cassazione n. 7256 del 22 marzo 2017.

Il fatto
La controversia ha a oggetto il ricorso proposto da un contribuente avverso l’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate con cui è stato determinato in via sintetica il maggior reddito imponibile del ricorrente inerente l’acquisto di un’autovettura e di un immobile.

Il ricorso è stato accolto parzialmente dalla Commissione tributaria provinciale, la quale ha ridotto del 50% il reddito derivante dall’immobile perché detto bene era nella disponibilità anche della moglie del contribuente, titolare di autonomo reddito.

Avverso la decisione di primo grado il contribuente ha proposto appello, accolto in toto dalla Commissione tributaria regionale, che ha disposto l’annullamento dell’atto impositivo perché gli elementi addotti dal ricorrente, secondo cui l’incremento patrimoniale derivava da una liberalità dei genitori, parevano idonei a vincere la presunzione derivante dall’applicazione del redditometro.

Contro la suddetta decisione, l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione.
La Corte suprema ha ritenuto fondate nel merito le doglianze dell’amministrazione finanziaria e ha deciso per la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio alla Ctr in diversa composizione.

La decisione
Con i principali motivi di ricorso, l’Agenzia delle Entrate ha censurato la sentenza di secondo grado, sia sotto il profilo della violazione di legge che del vizio di motivazione, perché gli elementi addotti dal contribuente sono stati ritenuti idonei a superare la presunzione correlata alle risultanze dell’accertamento sintetico.
Oggetto della controversia riguarda, pertanto, il corretto inquadramento del cosiddetto accertamento sintetico nei confronti delle persone fisiche, che trova il suo fondamento giuridico nell’articolo 38 del Dpr 600/1973, e delle prove necessarie al superamento della presunzione prevista da tale specifico strumento accertativo.

La norma richiamata prevede una specifica modalità accertativa, comunemente nota come “redditometro”, per cui l’amministrazione finanziaria può determinare sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per “incrementi patrimoniali” (ad esempio, acquisto di un immobile o di un’autovettura).
Per espressa previsione normativa, si presume che la spesa sia stata sostenuta con redditi conseguiti in quote costanti nell’anno in cui è stata effettuata e nei quattro precedenti.
È onere del contribuente dimostrare che il reddito sinteticamente determinato dall’Agenzia delle Entrate è costituito, totalmente o parzialmente, da redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o che esso possa essere giustificato sulla base di altri fatti e circostanze documentabili.

Nel caso di specie, il controllo da parte dell’ufficio finanziario è scaturito dalle operazioni di acquisto di un immobile e di un’autovettura, effettuate dal contribuente con un esborso non coerente con la propria situazione reddituale e patrimoniale.
A parere dei giudici d’appello, il contribuente avrebbe assolto all’onere della prova previsto dall’articolo 38 “sia per la documentazione prodotta che per la circostanza che è altamente probabile che sia intervenuta una donazione di fatto da parte dei genitori“.
La Ctr ha altresì affermato “che pare eccessivo pretendere una prova documentale di tali singole donazioni“, perché rientrerebbero in una pratica comune secondo cui i genitori spesso concorrono alle spese di gestione della vita familiare dei figli.

La decisione impugnata dall’Amministrazione finanziaria è in contrasto con il consolidato orientamento della Corte di cassazione espresso in materia di accertamento sintetico in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali.
A parere dei giudici di legittimità, infatti, nell’ipotesi in cui si deduca che la spesa oggetto di analisi (acquisto di un immobile e di un’autovettura) sia frutto di liberalità, “la prova della liberalità medesima deve essere fornita dal contribuente con la produzione di documenti, ai quali la motivazione della sentenza deve fare preciso riferimento” (così Cassazione, 24597/2010).

In tempi recenti, inoltre, la Corte ha precisato che, qualora il contribuente deduca che l’incremento patrimoniale sia frutto di liberalità, è sempre tenuto “a fornire la prova con documentazione idonea a dimostrare l’entità e la permanenza nel tempo del possesso del relativo reddito” (in tal senso cfr Cassazione, 916/2016).

Emiliano Marvulli
Precedente I nuovi principi contabili nazionali Successivo 5 per mille 2017: via alle iscrizioni per enti fuori da elenco permanente